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Mag 2020La pandemia -come un forte temporale che pulisce l’aria, facendo poi vedere più distintamente i contorni degli oggetti che ci circondano- ha improvvisamente rivelato i limiti di persone ed istituzioni, spazzando via la foschia che li nascondeva alla vista.
Per le persone, panico, scoramento, misantropia (altro che applausi e inni dai balconi).
Per le istituzioni, lacci burocratici ancor più stringenti e tempi ancor più lunghi di risposta (vedasi cosa sta succedendo con l’erogazione della cassa integrazione e dei vari sussidi).
Il sistema giustizia -già in crisi di suo- non ha fatto eccezione ma il Corona virus ha avuto il merito di aver fatto capire su cosa bisogna puntare per tentare di uscirne.
I RITI
Il virus ha ucciso alcuni sacri riti del processo, peraltro già affetti da gravi patologie.
Nel civile, le udienze di precisazione delle conclusioni sono state sostituite senza rimpianti dalla mera precisazione in forma cartacea.
Le udienze in cui non sia prevista la presenza di persone diverse dai difensori e dedicate ad incombenti quasi sempre meramente formali sono state sostituite dalla video-conferenza.
L’udienza di discussione orale ex art. 281-sexies c.p.c., all’esito della quale il giudice dovrebbe estrarre dal cilindro una sentenza completa di motivazione, è stata sostituita da brevi note scritte (evitando così agli avvocati di far finta di discutere e al magistrato di far finta di ascoltare, visto che la norma costringe il giudice ad aver la sentenza già bell’e pronta prima della discussione).
L’ACCELERAZIONE TECNOLOGICA
Notifiche via pec, depositi telematici, fascicoli digitali hanno dimostrato tutta la loro importanza.
Che si possa firmare digitalmente per un’operazione commerciale da milioni di euro e non si possa trasmettere alla cancelleria penale un’istanza via pec fa sorridere, molto amaramente.
LA DELEGA DI FUNZIONI E DI POTERI
Ma la vera sfida rimane quella di non far arrivare in Tribunale i processi che non lo meritano, cioè soprattutto quei processi che esistono solo perché una delle parti ha un forte interesse a che la decisione venga spostata più in là possibile nel tempo.
Nel civile, il legislatore lo ha capito da tempo ma non è mai riuscito a mettere bene a fuoco gli strumenti da utilizzare.
Ed infatti la mediazione, nonostante le buone intenzioni e la sincera dedizione di chi vi applica, nella maggior parte dei casi si è rivelata solo un aggravio di costi e di tempi.
Perché?
Perché si è voluto ingabbiarla in un sistema a sua volta rigido e burocratico ma privo di veri poteri autoritativi: questo è il nocciolo della questione.
Se lo Stato vuole sgravarsi di una parte dell’ormai insopportabile fardello della gestione della giustizia dalla A alla Z deve mettersi nell’ottica di delegare a terzi parte dei propri compiti unitamente a parte del proprio potere autoritativo, rinunciando ad un po’ di sovranità e distribuendo compiti e responsabilità.
A chi conferire la delega e cosa delegare?
Nel civile, i soggetti più vicini al processo e fuori dalla sua macchina burocratica sono gli avvocati, che sono i veri promotori del sistema, visto che sono loro ad innescare i procedimenti.
Se solo avessero il potere di provocare unilateralmente e coattivamente -pur nel rispetto del contraddittorio- l’acquisizione di prove utilizzabili nell’eventuale successivo processo (pensiamo, per esempio, all’interrogatorio formale e alle deposizioni testimoniali, peraltro senza i limiti del rigido capitolato civilistico), si otterrebbe immediatamente un effetto deflattivo enorme: le parti conoscerebbero già, prima e fuori del processo, il probabile esito dell’istruttoria ed avrebbero interesse a definire stragiudizialmente la vertenza. Se, ciononostante, ricorressero al giudice, questi non sarà occupato nella lunga e gravosa attività di raccolta delle prove costituende (a meno che non decida eccezionalmente di integrarle o rinnovarle), che è una delle cause principali dell’eccessiva durata dei processi: gli resterà da svolgere solo la sua attività più qualificata, cioè quella di distribuire i torti e le ragioni.
Sarebbe un cambio di paradigma importante ma abbandonare gli schemi consueti, ormai palesemente inefficaci, è l’unico modo per uscire dall’eterna emergenza: in fondo, se si tratta di diritti disponibili, quale principio “naturale” vi osterebbe?
Così come nel civile il sistema dovrà fidarsi degli avvocati, nel penale dovrà fidarsi dei suoi più importanti funzionari, cioè dei Pubblici Ministeri.
Come? Cominciando a ragionare sul fatto se l’esercizio obbligatorio dell’azione penale non sia un altro di quei miti che forse andrebbero messi in discussione, se non altro perché non ce lo possiamo più permettere.