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Ott 2018

Tra le questioni di maggior impatto introdotte dalla L. n. 219/2017 deve annoverarsi la possibilità di esprimere le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), meglio note come testamento biologico o biotestamento (art. 4, l. n. 219/2017).

Scopo delle DAT è quello di stabilire “ora per allora” la volontà in materia di trattamenti sanitari, in previsione di un’eventuale e futura incapacità di autodeterminarsi, previa acquisizione di adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.

Nel caso di DAT redatte per scrittura privata (modalità alternative sono l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata), l’interessato – purché maggiorenne e capace di intendere e volere – deve provvedere personalmente alla consegna presso l’ufficio di stato civile del Comune di residenza che le annota in un apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie.

La consegna alle strutture sanitarie può avvenire, però, solo in quelle Regioni che: a) abbiano adottato modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale (SSN) e b) si siano avvalse della facoltà di disciplinare, con proprio atto, la raccolta di copia delle DAT e il loro inserimento nella banca dati.

Rimane comunque al disponente la libertà di dare copia delle DAT o indicare dove queste siano reperibili.

Si tratta di disposizioni con evidenti profili di criticità, problemi attuativi e di coordinamento normativo, che producono effetti distorsivi sul piano dell’effettività del diritto all’autodeterminazione.

Allo stato attuale, difatti, il FSE non sembrerebbe una realtà pienamente operativa: pur risultando attive 17 Regioni (intendendosi per attive quelle Regioni in cui almeno n. 1 FSE risulta operativo), il totale di FSE attivati a livello nazionale è pari a 10.845.068, mentre in Sicilia, Calabria e Campania il processo di attivazione risulterebbe tuttora al palo (cfr. dati Agenzia per l’Italia digitale, reperibili al seguente link: https://www.fascicolosanitario.gov.it/).

La norma richiede un altro presupposto per la consegna delle DAT alle strutture sanitarie, ovvero che le Regioni si siano avvalse della facoltà di disciplinare, con proprio atto, la raccolta di copia delle DAT e l’inserimento in banca dati: il legislatore omette però di disciplinare aspetti essenziali quali le modalità di istituzione – peraltro del tutto eventuale e facoltativa – della banca dati, nonché la raccolta da parte delle Regioni.

Analogamente, nulla viene stabilito in merito modalità di tenuta, conservazione, accesso alle DAT e al relativo registro da parte degli uffici comunali.

Come affermato dal Garante per la protezione dei dati personali, conseguenza diretta di tale indeterminatezza è che le DAT non possono essere adeguatamente protette dal rischio di accessi abusivi, manipolazione, alterazione, distruzione o perdita di dati. Nemmeno l’aggiornamento costante sarebbe garantito, potendo pregiudicare così la corrispondenza tra la dichiarazione resa e l’eventuale mutamento che dovesse interessare la volontà del paziente.

Eppure le DAT, potendo contenere informazioni idonee a rivelare lo stato di salute, eventuali convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, sono dati sensibili in termini analoghi a quanto stabilito dall’art. 9 del Regolamento UE 2016/679 (così, Garante per la protezione dei dati personali, Audizione al Senato del 20 giugno 2017).

Inoltre, la scelta di rimettere alle Regioni l’istituzione di eventuali banche dati potrebbe produrre una difformità su base regionale, con intuibili implicazioni in termini di equità.

A questo quadro, già complesso, deve aggiungersi che la Legge di bilancio 2018 ha istituito la banca dati nazionale per la registrazione delle DAT (art. 1, co. 418, L. n. 2015/2017). Il Ministero della Salute, avanzando dubbi interpretativi dovuti alla mancanza di coordinamento con la L. 219/2017, ha di recente sollevato il quesito se tale database nazionale debba intendersi come finalizzato alla mera annotazione e attestazione dell’avvenuta espressione delle DAT oppure debba contenerne anche copia.

Il Consiglio di Stato, nell’Adunanza della Commissione speciale del 18 luglio 2018, ha rilasciato un parere decisivo (n. affare 01298/2018 del 31 luglio 2018) rispondendo a cinque diversi quesiti formulati da Ministero della Salute (relazione del Ministero della Salute n. 7237 del 15 giugno 2018).

La Commissione speciale ha eliminato ogni dubbio in ordine alla finalità del database nazionale: posto che i registri regionali e comunali sono meramente facoltativi, la banca dati nazionale deve, su richiesta dell’interessato – anche non iscritto al servizio sanitario nazionale – poter contenere copia delle DAT.

Questo consente alle DAT di essere intellegibili a livello nazionale ed evita che la loro conoscibilità rimanga circoscritta al luogo in cui sono state rese, “il che vanificherebbe, con tutta evidenza, l’applicazione concreta della normativa”. Del resto, la mera registrazione delle DAT senza raccolta darebbe vita a un “sistema incompleto e privo di utilità” (così, Consiglio di Stato, Richiesta di parere in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, Adunanza della Commissione speciale del 18 luglio 2018, par. 3, pp. 12-13).

Rimane però da capire come la disposizione che disciplina l’eventuale istituzione di banche dati regionali delle DAT possa coordinarsi con questa interpretazione.

Una precisazione importante dal Consiglio di Stato arriva anche sul fronte della legittimazione ad accedere al database delle DAT nazionale. Il Ministero chiedeva se l’accesso dovesse intendersi limitato al personale medico in procinto di iniziare o proseguire un trattamento sanitario nei confronti di un paziente incapace di autodeterminarsi.

Pur rinviando alle determinazioni sul punto del Garante della protezione dei dati personali, alle DAT può accedere il medico allorché sussista una situazione di incapacità di autodeterminazione del paziente nonché il fiduciario non revocato.

La Commissione speciale del Consiglio di Stato – data l’importanza e la delicatezza dell’intervento normativo in questione – non manca, però, di lanciare un monito sulla necessità di prevedere efficaci e costanti strumenti di monitoraggio del funzionamento della norma, volti a verificarne l’idoneità a perseguire, in concreto, gli obiettivi fissati dal legislatore e a garantirne la più estesa attuazione.

Il che è come dire che in assenza di strumenti attuativi efficaci, l’autodeterminazione rimane un diritto solo sulla carta. Almeno per ora.