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Apr 2017Abbiamo visto in un precedente articolo (Il falso mito dell’irresponsabilità per quanto si scrive sul web) come la facilità di comunicare attraverso il web ci esponga al rischio di incorrere anche in gravi rischi e responsabilità.
La giurisprudenza si è interrogata anche sulle responsabilità dei soggetti coinvolti nella gestione degli spazi sul web.
- Responsabilità del blogger o moderatore di forum e chat.
Per quanto concerne il blogger, nel caso in cui decida di fungere da “moderatore” e filtrare i messaggi dei lettori prima di pubblicarli, egli potrà essere chiamato a rispondere in concorso con l’autore del messaggio diffamatorio ove si accerti che il blogger abbia volontariamente scelto, dopo aver letto il messaggio, di continuare a diffonderlo in rete. Quando, invece, i messaggi dei lettori vengono automaticamente pubblicati senza alcun filtro o controllo preventivo da parte del blogger, saranno soltanto gli autori dei messaggi a rispondere di eventuali offese o reati, non configurandosi in capo al gestore di un blog alcuna posizione di garanzia rispetto agli articoli o ai messaggi di terzi pubblicati sul suo sito.
- Responsabilità del provider
La Direttiva 2000/31/CE (che ha trovato attuazione in Italia con il D.Lgs. 70/2003) ha sancito il principio generale c.d. della “assenza dell’obbligo generale di sorveglianza” dei fornitori di servizi Internet, stabilendo tuttavia delle deroghe a seconda del tipo di servizio prestato.
Il fornitore di servizi di hosting (che alloca su un server web le pagine di un sito Internet, di un blog, di un forum o di altra applicazione web, rendendoli così accessibili dalla rete Internet e ai suoi utenti), per esempio, per godere di una limitazione della responsabilità, deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite.
Potrebbe sussistere, dunque, una responsabilità penale concorrente nel momento in cui il fornitore del servizio venga avvertito della presenza di contenuti costituenti reato sul suo spazio web e non si attivi per cancellarli o per avvertire le autorità competenti.
Segnaliamo in questo senso una recente decisione della Corte di Cassazione ( n. 54946 del 27.12.2016) che ha ritenuto responsabile, insieme all’autore del post, anche il proprietario del sito internet agenzia-calcio.it nel quale era stato pubblicato un commento in cui si definiva “emerito farabutto” e “pregiudicato doc” il presidente della Figc Carlo Tavecchio, allegando ai commenti denigratori un certificato penale. Secondo la Corte, la responsabilità del proprietario del sito deriva dal fatto di non essere intervenuto prontamente per la cancellazione del testo: nel caso specifico, l’autore del post aveva inviato all’amministratore del sito un’e-mail con il certificato penale di Tavecchio e il proprietario del sito, benché a conoscenza del certificato penale e della pubblicazione del commento, aveva lasciato online il commento per circa due settimane, permettendo che l’articolo esercitasse la sua efficacia diffamatoria, tanto che a porre fine agli effetti del reato era stato solamente il sequestro preventivo del sito.
- Responsabilità del direttore di una testata telematica
L’art. 57 c.p. , con specifico riferimento ai “reati commessi col mezzo della stampa periodica”, sancisce un’autonoma responsabilità del direttore che “omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati”: la giurisprudenza ha per lungo tempo escluso l’applicabilità di tale norma al direttore di un periodico telematico, ritenendo che la nozione di “stampa” includesse la sola informazione diffusa attraverso la carta stampata, con la conseguenza che i direttori di un giornale on line potrebbero essere chiamati a rispondere dei messaggi diffamatori sui siti da essi gestiti solo nel caso di un loro diretto concorso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo sui contenuti dei messaggi diffusi.
Più recentemente, tuttavia, due sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 31022/2015 e 23469 del 18.11.2016) hanno messo in discussione questa interpretazione.
Chiamate a pronunciarsi in ordine alla possibilità di sottoporre a sequestro una testata telematica, le Sezioni Unite hanno ritenuto che “in tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui alla L. 8 febbraio 1948 n. 47, art. 1, e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico”.
Con un’interpretazione evolutiva di una norma ormai datata, dunque, le Sezioni Unite hanno pienamente assimilato i periodici cartacei e quelli telematici, sempreché questi ultimi abbiano i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo e siano, quindi, caratterizzati da una testata, diffusi o aggiornati con regolarità, organizzati in una struttura con un direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione.
Questa assimilazione, in realtà, è stata affermata al fine di estendere anche alle testate online le tutele e le garanzie previste per la stampa tradizionale.
È facile o quantomeno logico immaginare, tuttavia, che in futuro i giudici non potranno non tener conto dell’equiparazione affermata dalle Sezioni Unite tra informazione online e stampa cartacea anche al fine di riconoscere la responsabilità penale del direttore di un periodico telematico che ometta di controllare i contenuti degli articoli pubblicati sulle pagine web del periodico che dirige.