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Giu 2017Esiste la diffusa convinzione che l’installazione di apparecchiature di controllo all’interno dei luoghi di lavoro sia comunque legittima quando i lavoratori sono consapevoli della presenza di tali apparecchiature e, soprattutto, se hanno prestato il loro consenso a quell’installazione.
La recente sentenza 8.05.2017 n. 22148 della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per sfatare tale falsa convinzione e per parlare, ancora una volta, del tema della videosorveglianza negli ambienti di lavoro (cfr. sull’argomento https://www.lexit.it/installazione-video-sorveglianza-ambiente-lavoro/ – https://www.lexit.it/videosorveglianza-in-ambito-domestico/].
Nel caso in esame, la titolare di un negozio aveva installato nel proprio esercizio due telecamere collegate tramite wi-fi a un monitor, telecamere che trasmettevano in tempo reale le immagini filmate e consentivano il controllo dell’attività lavorativa dei dipendenti dell’attività commerciale: l’installazione non era stata preceduta né da un accordo sindacale né dall’autorizzazione della DTL.
La titolare del negozio, condannata al pagamento di un’ammenda di 600 euro, ricorreva in Cassazione sostenendo che il reato non può dirsi integrato se il datore di lavoro ha preventivamente acquisito il consenso di tutti i dipendenti (cosa che la ricorrente aveva effettivamente provveduto a fare).
La Cassazione, viceversa, ha ritenuto che il consenso espresso dai lavoratori, sia esso scritto od orale, non può mai scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato gli impianti di videosorveglianza senza l’accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori o senza l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.
Il divieto di un controllo generalizzato sancito dall’art. 4 dello Statuto dei lavori, infatti, tutela degli interessi di carattere collettivo e superindividuale così che il datore di lavoro, che procede all’installazione degli impianti senza previa interlocuzione con le rappresentanze sindacali, produce l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici in luogo dei lavoratori che –osservano i giudici- “potrebbero rendere un consenso viziato a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro” (altrimenti, al datore di lavoro basterebbe far firmare a ogni dipendente, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accetta l’introduzione di qualsiasi forma di controllo).
La Suprema Corte sottolinea, tra l’altro, come la condotta datoriale che prescinde dal confronto con le rappresentanza sindacali integra anche un’ipotesi di condotta antisindacale, reprimibile con la speciale tutela prevista dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.
La sentenza in commento ricorda inoltre che lo stesso Garante della privacy ha più volte ritenuto illecito il illecito trattamento dei dati personali tramite videosorveglianza in assenza della garanzie previste dall’art. 4 Statuto dei lavoratori e nonostante la sussistenza del consenso dei lavoratori.
La sentenza precisa infine che tali principi valgono anche dopo le modifiche introdotte all’art. 4 Statuto dei lavoratori dal c.d. Jobs Act.